aerodinamica del ciclista

08.08.2013 10:26

 

L’AERODINAMICA NEL CICLISMO

Claudio Gallozzi e Dario Dalla Vedova

Il ciclismo è la disciplina sportiva che, forse, meglio si presta ad essere oggetto di analisi multidisciplinare da parte dei tecnici dello sport: alle valutazioni di carattere medico, fisiologico, biomeccanico ed a tutti gli studi che si possono eseguire sui materiali, si affianca l’importantissimo filone dell’analisi aerodinamica. Infatti se si pensa che pedalando a 50 Km/h il 95% circa dell’energia viene spesa per vincere la resistenza dell’aria, si comprende il ruolo che questa variabile gioca sulla prestazione finale; inoltre, è noto che la “bontà” aerodinamica di una posizione è strettamente collegata alle caratteristiche antropometriche degli atleti influenzando in modo decisivo la loro capacità di produrre potenza.
Per questi motivi centri di ricerca sparsi in tutto il mondo, hanno condotto numerosi studi utilizzando atleti di diverse caratteristiche e livello di qualificazione.
L’idea di base sul quale si fondano tali studi è che la velocità massima del sistema atleta-bicicletta si ottiene quando la potenza fornita dall’atleta eguaglia la somma delle resistenze incontrate. Nella figura (Free Body Diagram) sono schematizzate le forze propulsive (azzurro) e quelle resistenti (rosso) che agiscono sul sistema ciclista-bicicletta lungo la direzione orizzontale.

FREE BODY DIAGRAM

È logico che quando la potenza espressa (dall’atleta) è maggiore della resistenza, la bicicletta accelera, nel caso inverso rallenta.

Lo scopo dell’allenatore è, quindi, quello di ottimizzare la prima; lo scopo del ricercatore è ridurre le seconde per quanto possibile.

Avendo avuto la fortuna di lavorare nell’equipe del Prof. Dal Monte, presso il Dipartimento di Fisiologia e Biomeccanica dell’Istituto di Scienza dello Sport del CONI, in occasione delle ricerche che contribuirono alla vittoria di due medaglie d’oro alle Olimpiadi di Atlanta 1996, riteniamo interessante riportare la nostra esperienza perché paradigmatica di tutte le difficoltà e gli ostacoli, ma anche delle soddisfazioni, che si possono incontrare nell’affrontare questo tipo di problematiche.
Nel lavoro preparatorio alle Olimpiadi la prima fase della ricerca fu finalizzata allo studio degli aspetti aerodinamici. A tale scopo furono eseguiti numerosi test in galleria del vento (per i dettagli si rimanda ai box relativi) e su strada nei quali fu stabilita una configurazione base come riferimento e, su questa, furono effettuate le diverse modifiche sia di posizione sia di attrezzatura come caschi, tute, scarpini e ruote lenticolari.
Tra questi elementi quello che più influisce sulle resistenze aerodinamiche è, ovviamente, la posizione dell’atleta.
Ogni ciclista è a conoscenza, se non altro per esperienza personale, che più si riduce la superficie di esposizione all’aria, più è possibile raggiungere velocità elevate a parità di “sforzo” sui pedali. Basti osservare come i migliori passisti e specialisti delle cronometro riescono a mantenere per periodi lunghissimi il busto parallelo al terreno, la testa bassa (incassata nelle spalle) e come riescano a limitare il più possibile i movimenti di tali distretti corporei.
Per ottenere una posizione ideale si gioca su due elementi che sono la geometria del telaio e la capacità di adattamento dell’atleta. Quest’ultima, a sua volta, dipende dalle caratteristiche morfo-strutturali e da un sufficiente periodo di allenamento.
Esiste tuttavia un’altra componente aerodinamica importante sulla quale è possibile operare, componente che risulta fondamentale in altri settori sportivi ed industriali come quelli aeronautici e motoristici.
Questa riguarda la forma della superficie esposta all’aria identificata comunemente come Cx (coefficiente di forma, vedi riquadro).
L’ottimizzazione del Cx è il motivo per cui sono nate e vengono sviluppate le carenature delle motociclette, le appendici aerodinamiche delle vetture da competizione, ma anche più banalmente, il design delle autovetture stradali. Migliorare il Cx significa più velocità a parità di potenza ma anche, e soprattutto, minori consumi a parità di velocità.
Sul sistema atleta-bicicletta, non potendo utilizzare appendici e carenature, l’ottimizzazione delle forme è molto più complessa. Eppure, nella ricerca in questione, fu possibile ottenere i migliori risultati proprio sfruttando questo aspetto. Molti lettori ricorderanno infatti, che due atleti della squadra azzurra presentarono ad Atlanta una posizione tanto strana quanto particolare che fu subito battezzata posizione “Dal Monte” o “canna di fucile”. Tale posizione, grazie alle braccia protese in avanti, permetteva di “fendere” meglio l’aria mantenendo ridotta il più possibile la superficie di sezione frontale.
Il grande limite di questa posizione apparve subito essere legato alle difficoltà di guida del mezzo ed ad un certo affaticamento muscolare dovuto alla diversa distribuzione del peso sui punti di appoggio della bicicletta. Per questi motivi ne fu possibile l’utilizzo solamente in particolari tipologie di competizione e fu necessario un lungo periodo di allenamento da parte degli atleti.
C’era da risolvere tuttavia un altro problema. Sembra strano, infatti, ma spesso la ricerca applicata dimostra che spesso la migliore soluzione aerodinamica non corrisponde ad un reale incremento di prestazione in gara. Il motivo di questo paradosso è che la posizione più idonea ai fini della riduzione delle resistenze non consente sempre all’atleta di erogare la stessa potenza sui pedali rispetto alla condizione abituale.
Per questo motivo durante le misurazioni in galleria del vento, furono posizionati e fotografati dei “markers” su tutti i centri articolari: in questo modo fu possibile ricostruire con estrema precisione la posizione da studiare nella seconda parte di studio, quella effettuata sul cicloergometro.

ANGOLI ARTICOLARI

 

In questa fase furono eseguiti test metabolici come la misura della frequenza cardiaca, della soglia aerobica-anaerobica, della massima potenza aerobica, del costo energetico per le varie posizioni precedentemente individuate in galleria del vento.
Fu utilizzata anche l’elettromiografia di superficie in modo da individuare il modo in cui i diversi distretti muscolari si comportavano. I risultati di queste indagini portarono a modificare parzialmente la posizione che era risultata più proficua dal punto di vista aerodinamico perché non ottimale dal punto di vista metabolico.
L’ultima, e forse più interessante, parte della ricerca fu rivolta alla realizzazione di un software in grado di simulare diverse combinazioni delle variabili in studio sfruttando i dati sperimentali raccolti. In questo modo fu possibile valutare virtualmente gli effetti di numerose modifiche senza essere costretti, ogni volta, ad eseguire misure dirette in galleria e laboratorio con inevitabile dispendio di tempi e mezzi. Furono, infatti, elaborate diverse previsioni di prestazione in relazione a differenti posizioni. Queste si possono calcolare facendo il confronto tra i dati di resistenza aerodinamica e potenza esprimibile dall’atleta ottenuti per una posizione di riferimento di cui è noto il risultato in pista e quelli rilevati per le altre configurazioni di indagine (figura 20, risultati di una simulazione).
Il filo conduttore della ricerca effettuata presso l’Istituto di Scienza dello Sport fu quindi, in sintesi, la ricerca del miglior compromesso tra la “bontà aerodinamica” e la “bontà ergometrica” delle varie posizioni. Infatti, nello studio del complesso uomo-mezzo di gara, la posizione con la miglior aerodinamica quasi sempre deve essere pagata in termini di minor libertà di movimento da parte dell’atleta; questo si traduce nella ridotta capacità di fornire potenza e, più in generale, in un precoce affaticamento e nella ridotta maneggevolezza del mezzo. Queste valutazioni non possono essere sottovalutate nell’economia di una gara perché, alla lunga, gli svantaggi dovuti alla penalizzazione dell’atleta potrebbero divenire superiori ai benefici ottenuti. Lo studio effettuato ha dato ragione alla nuova posizione sperimentata dimostrando l’interesse e le potenzialità di questo tipo di ricerca. Le numerose conferme di ciò sono nelle vittorie italiane e straniere nel Campionato del Mondo di Inseguimento in Colombia nel ’95, nelle due medaglie d’oro italiane ad Atlanta ’96 e nelle vittorie al Campionato del Mondo di Inseguimento ’96 a Manchester. 

BOX 1 -  LA FORZA AERODINAMICA: LA FORMULA ED ALTRE CONSIDERAZIONI

 

Quando esiste un moto relativo tra un corpo qualunque ed un fluido si generano delle forze, dette fluidodinamiche. I motivi per cui nascono queste forze sono molteplici e vanno dalla forma del corpo alle sue dimensioni, dalla distribuzione delle pressioni nel campo attorno al corpo alle caratteristiche della superficie di cui il corpo stesso è fatto, dalle proprietà fisiche del fluido alla velocità di traslazione. Tranne che in alcuni semplici casi, i fenomeni fluidodinamici sono di notevole complessità ed inoltre devono spesso essere analizzati nelle tre dimensioni ed in un fluido che è difficile da studiare e visualizzare. Eppure gli aerei volano, il che significa che la Fisica è riuscita ad estrarre dalla enorme complessità del fenomeno alcune leggi generalmente valide. In particolare tutti gli effetti fluidodinamici si schematizzano con una forza che viene scomposta nelle due direzioni rispettivamente parallela al moto e ad esso perpendicolare. La componente parallela al moto è detta resistenza (o drag) ed è quella di maggior interesse nel ciclismo, la componente perpendicolare al moto è definita come portanza (o lift) ed è importante principalmente per gli aerei e le vetture di F1 perché è quella che si sottrae o somma al peso. La resistenza aerodinamica si può quindi esprimere con la seguente formula:

 

R = ½ * r * S * Cx* V2
dove:R è il valore della resistenza cercata, in Kg o Newton
½ è una costante
r è la densità del fluido, per l’aria in condizioni standard tale valore è pari a 1,2 Kg/m3
S è una superficie di riferimento, per esempio la sezione frontale, ed è espressa in m2
Cx è il coefficiente adimensionale di forma
V2 è la velocità di movimento in m/s, elevata al quadrato.

 Il fatto che nella formula precedente la velocità appare elevata al quadrato è di enorme importanza dal punto di vista pratico. Infatti ciò significa che la forza aerodinamica è funzione esponenziale della velocità o, in altre parole, che aumentando di poco la velocità aumentano molto le forze in gioco. Questo fenomeno è ulteriormente amplificato se si analizza la potenza necessaria per vincere le resistenze aerodinamiche, infatti poiché la potenza si può esprimere come il prodotto di una forza per una velocità, la formula diventa:

Potaer = R * V = ½ * r * S * Cx* V3

 Cioè la potenza per vincere le resistenze aerodinamiche è funzione cubica della velocità, in altre parole, se voglio raddoppiare la mia velocità, devo applicare una potenza otto volte maggiore (23=8)! Questo è il motivo per cui è così difficile battere i record esistenti e, quando ciò accade, di solito la differenza finale rispetto al miglior risultato precedente è minima.

 

Un’ultima considerazione deve essere fatta a proposito del Cx o coefficiente adimensionale di forma. Questo è un termine sperimentale che si calcola dai dati registrati in galleria del vento eseguendo opportune operazioni. È adimensionale, cioè non si esprime in alcuna unità di misura come metri ochilogrammi ed è convenzionalmente considerato dipendente solo dalle caratteristiche geometriche dell’oggetto e non da quelle del fluido come velocità, temperatura o pressione. È molto semplice da studiare per gli oggetti semplici quali cubi, sfere o cilindri; le cose diventano molto più difficili per un corpo complesso come quello di un ciclista su di una bicicletta e questo è il motivo principale per cui ancora si investono risorse nella ricerca e nelle gallerie del vento.

 

BOX 2 -  LA GALLERIA DEL VENTO

Per lo studio delle resistenze che si oppongono al movimento sono stati messi a punto diversi metodi e strumenti più o meno complessi e precisi. Tutti si basano sulla riproduzione del principio fisico che si vuole studiare e dei fenomeni a questo connesso. Di solito si cerca la maggior semplificazione possibile per evitare che il risultato finale sia influenzato da elementi estranei, la valutazione ultima deve però sempre tenere conto della complessità del fenomeno in esame e della stretta dipendenza tra diversi fattori.

LA GALLERIA DEL VENTO: il principio fisico su cui si basa la galleria del vento è noto come Principio di Reciprocità che afferma che le forze aerodinamiche nascono quando c’è moto relativo tra un corpo e l’aria. Ciò significa che le forze sono le stesse sia quando l’aria è ferma ed il corpo in moto (come accade durante la prestazione sportiva), sia nel caso in cui il corpo è fermo e l’aria si muove. In pratica si fa in modo che in una particolare zona, detta camera di prova, ci sia dell’aria in movimento nel modo più uniforme possibile. Per ottenere questo risultato si collega un motore, di solito elettrico, ad una elica che gira all’interno di un condotto che può essere rettilineo aperto alle estremità oppure ad anello chiuso.

Schema di una Galleria del Vento

Nel primo caso avremo una galleria del vento aperta, nel secondo a ricircolo completo o a “volumi chiusi”. Un’opportuna sezione del condotto, la camera di prova appunto, è strumentata per contenere al proprio interno la bicicletta e l’atleta e per misurare le diverse grandezze fisiche che interessano. Tra queste ricordiamo: velocità e temperatura dell’aria; forze orizzontali e verticali; pressione statica e dinamica. Molte galleria del vento sono strumentate anche con un tappeto mobile che permette la simulazione del cosiddetto effetto suolo.

Infatti nella realtà la velocità relativa tra aria e terreno è nulla, mentre in una galleria del vento senza tappeto mobile il suolo è fermo e l’aria in moto. Questo non comporterebbe grossi problemi se l’aria non fosse viscosa, se cioè non venisse rallentata in modo progressivo ed esponenziale dalle forze intermolecolari fino a fermarsi in corrispondenza del suolo generando una zona chiamata strato limite. Purtroppo per la bicicletta, in questa zona particolare avvengono molti fenomeni interessanti dal punto di vista aerodinamico come il moto delle ruote e quello dei pedali, motivo per cui è fondamentale che i test vengano effettuati in strutture dotate di tappeto mobile.

METODOLOGIA DI PROVA: la bicicletta viene opportunamente fissata alle celle di carico nella camera di prova in modo da rimanere ferma anche quando sottoposta alla forza dell’aria ed al peso dell’atleta consentendo a quest’ultimo di assumere diverse posizioni a bordo in piena sicurezza. L’altezza di tutto il sistema è regolata affinché la bicicletta sfiori appena il tappeto mobile in moto così da movimentare le ruote senza gravare con tutto il peso sul tappeto stesso. Questo è molto importante quando si pensa ai fenomeni aerodinamici causati dalle ruote, siano esse a raggi o lenticolari. Infatti, supponendo che la bicicletta viaggi alla velocità di 50 Km/h, il punto di contatto tra la gomma ed il terreno ha, istantaneamente, velocità nulla relativamente all’aria, mentre il mozzo ha la stessa velocità di traslazione della bicicletta. La parte superiore della ruota si muove invece in direzione opposta al senso di marcia, quindi con velocità uguale e contraria. Sommando le due componenti vettoriali si ha allora una velocità relativa di 100 Km/h. Si aggiungono poi tutte le interferenze presenti tra ruote in movimento, telaio e corpo dell’atleta. Le tarature preliminari sono quindi effettuate sia con le ruote ferme che con il tappeto in moto e nelle misure finali si tiene conte degli effetti aerodinamici rispetto al suolo ed al telaio della bicicletta. Spesso si misura anche, isolatamente, l’attrito di rotolamento così ottenuto in modo da valutare il valore delle singole resistenza. La velocità dell’aria viene quindi scelta in base al tipo di specialità che si deve studiare cercando, per quanto possibile, di avere velocità uguali a quelle che si incontrano durante lo svolgimento delle varie discipline. La programmazione dei test comporta una prima fase di studio delle posizioni di base e l’individuazione di una configurazione di riferimento che viene ripristinata periodicamente e che serve a valutare velocemente i successivi miglioramenti o peggioramenti nonché a verificare che tutta la strumentazione funzioni correttamente. Lo studio prosegue poi con la variazione sistematica di un singolo parametro alla volta agendo sulla forma e sull’altezza della sella e del manubrio in modo da valutare le diverse posizioni ottenute spostando spalle, testa (con e senza diversi caschi), braccia e gambe. Su tutte le articolazioni degli atleti vengono applicati e fotografati dei markers: in questo modo si può ricostruire graficamente l’ampiezza degli angoli caratteristici delle varie posizioni studiate.

Si fotografa anche frontalmente il sistema per valutarne la sezione frontale e cercare le zone ottimali di intervento.

La misura delle forze aerodinamiche è effettuate sia con pedali fermi che in moto, poiché nel primo caso si ha una misura più precisa ma non corrispondente alla situazione reale che viene dunque ricostruita interpolando i dati ottenuti con le due diverse procedure. È poi sempre di grande interesse lo studio dei particolari e degli accessori da gara compatibilmente con i limiti imposti dai regolamenti: si cerca di valutare il più possibile separatamente gli effetti dei singoli componenti ricorrendo anche allo studio di parti singole laddove la corretta riproducibilità del test lo consenta. La visualizzazione qualitativa dell’andamento del fluido e la misurazione della velocità dell’aria lungo l’oggetto in prova avviene con l’uso di anemometri mobili e di filetti di lana opportunamente disposti o con la produzione di fumo. Gli effetti sono dunque filmati in modo da poter effettuare l’analisi dell’andamento dei filetti lungo il corpo e della forma ed entità delle zone turbolente. Questo tipo di studio trova il suo completamento nel confronto con i diversi valori numerici misurati per le forze in ogni singola configurazione.

In linea di massima il valore della resistenza all’avanzamento per un ciclista che proceda alla velocità di 50 Km/h è di poco inferiore ai 3 Kg ed il prodotto SCx vale 0,2 m2.

Abbiamo voluto ricordare le esperienze maturate in occasione dei Giochi Olimpici di Atlanta 1996 dall’equipe del Prof. Dal Monte, perché molti degli elementi descritti possono essere di valore anche nel ciclismo amatoriale. Anche in tale contesto, infatti, la ricerca della migliore efficienza aerodinamica del sistema uomo-bicicletta può essere molto utile perché con poca “spesa” si possono avere risultati paragonabili a quelli ottenibili con notevoli incrementi dell’allenamento delle capacità fisiche.
Vediamo di analizzare, quindi, il problema. Il principio generale è evidentemente lo stesso, i target da raggiungere sono: ridurre la superficie di esposizione all’aria, utilizzare abbigliamento adeguato, ottimizzare i particolari del mezzo.
Cominciamo dalla bicicletta. Migliorare l’aerodinamica non significa operare, come spesso avviene forse a causa delle accattivanti offerte del mercato degli accessori, su particolari come caschi, occhiali, calzature, ecc. Questo è necessario se si è in preparazione di un record sull’ora, ma se vogliamo andare un poco più veloci nelle nostre uscite domenicali o se vogliamo faticare un po’ meno a parità di velocità, dobbiamo giocare sull’ottimizzazione di altri elementi.
Non sempre si pensa, infatti, che una delle componenti più influenti sull’aerodinamica del sistema è la ruota. Il motivo di tale importanza dipende dal movimento che la caratterizza: la ruota, infatti, è soggetta a due tipi di moto combinati tra loro. Il primo è traslatorio lungo la direzione della marcia della bicicletta; il secondo è rotatorio intorno all’asse dei mozzi. I due moti combinati tra loro determinano un curioso effetto per cui la parte superiore della ruota si muove a velocità doppia rispetto a quella della bici e con la stessa direzione perché la velocità di rotazione si somma a quella di traslazione. La parte inferiore della ruota si muove con velocità inferiore addirittura nulla del punto di contatto del pneumatico con l’asfalto.
Questo particolare fenomeno rende il comportamento della ruota molto critico dal punto di vista aerodinamico, comportamento ancora in fase di studio da parte dei ricercatori ma comunque assai influente sulla efficienza generale del mezzo. Oltre tutto, come dimostrato dall’uso delle ruote lenticolari (addirittura negative in talune circostanze), possiamo trovarci in condizioni ambientali caratterizzate da vento laterale che complica ulteriormente il problema.
Detto questo, esistono in commercio ruote che presentano indubbi vantaggi aerodinamici (profilo del cerchio, numero di reggi, profili dei raggi, ecc) la cui utilizzazione può migliorare sensibilmente, almeno in pianura, la capacità di sviluppare velocità e per questo si rimanda ai testi specialistici.
L’altro elemento sul quale è possibile operare con relativa facilità per migliorare le caratteristiche aerodinamiche del sistema riguarda la posizione dell’atleta. Questa deve essere, come detto nel precedente articolo, finalizzata a migliorare soprattutto la superficie di sezione frontale. Il tale ottica l’elemento di primario interesse riguarda la posizione del busto che, almeno in determinate circostanze, dovrebbe posizionarsi più basso e parallelo possibile al terreno. Per ottenere questa configurazione si opera generalmente sulla geometria del telaio.
A questo proposito è bene ricordare che esistono precisi limiti da parte del regolamento della Federazione Internazionale di Ciclismo.
Tali limiti, come ad esempio la misura dell’arretramento della sella non inferiore a 5 centimetri o il divieto di usare protesi sul manubrio (che offrono anche il vantaggio di migliorare il Cx), sono in vigore da alcuni molti anni e sono stati imposti perseguendo il principio di privilegiare l’espressione atletica (dell’uomo) nei confronti dell’esasperazione dello sviluppo tecnologico (del mezzo).
Configurazioni a “canna di fucile” o similari, sono infatti state bandite dalle competizioni ufficiali così come sono stati annullati i record ottenuti in tali condizioni!
La possibilità di orientare il busto parallelo al terreno dipende dalla regolazione di alcuni parametri: la differenza di quota e la distanza tra sella e manubrio, l’arretramento della sella, il disegno e le caratteristiche del manubrio.
Regolazioni che apparentemente non presentano particolari problemi, eppure, basta osservare una gara tra professionisti per accorgersi che, anche a quel livello, non sono molti gli atleti che riescono ad assumere una posizione ottimale e ad esprimere, in quella posizione, il massimo della potenza erogabile. Possibile che tecnici e telaisti non riescano a mettere tutti gli atleti nelle migliori condizioni dal punto di vista aerodinamico?
La realtà è che la posizione ideale si scontra molto spesso con le caratteristiche morfostrutturali dell’atleta. In particolare, sono le capacità di flessibilità articolare della colonna vertebrale e di estensibilità della muscolatura che spesso limitano la possibilità di posizionarsi correttamente in bici. La presenza di dismorfismi o paramorfismi come scoliosi, dismetrie degli arti ed altro, determinano ulteriori limiti per i compensi posturali che ne derivano.
Nel ciclismo amatoriale esistono ulteriori variabili come l’età mediamente più elevata dei praticanti con la possibilità che le strutture articolari presentino processi degenerativi e infiammatori.
La posizione allungata e abbassata sollecita fortemente, infatti, il tratto lombare della colonna che inverte la sua curvatura fisiologica ed il tratto cervicale con notevole aumento della lordosi. Se tali sedi sono oggetto di processi infiammatori e degenerativi, la posizione aerodinamica può scatenare o acuire dolore e disfunzione.
La posizione allungata determina anche una variazione di distribuzione del carico tra sella e manubrio con inevitabile aumento dell’impegno della muscolatura del collo e delle spalle.
Va considerato, inoltre, che i tempi necessari alle strutture biologiche per adattarsi a posture così particolari sono piuttosto lunghi ed è quindi evidente il vantaggio che hanno gli atleti agonisti in considerazione delle percorrenze annuali notevolmente più elevate con relativo maggiore tempo trascorso in sella.
Oltre a ciò, l’agonista ricerca con maggiore frequenza questa posizione, tali sono i vantaggi che ne derivano, tanto da eseguire allenamenti specifici in tal senso anche in salita.
Riportiamo, a tal proposito, un interessante dato scaturito dalla nostra casistica (da molti anni il nostro gruppo di lavoro si occupa dello studio e dell’ottimizzazione della postura in bicicletta): è emerso, infatti, che gli atleti che percorrono più di 20.000 km l’anno, a parità di caratteristiche antropometriche, presentano telai mediamente più lunghi (+ 1,5 cm) a testimonianza della maggiore capacità di adattarsi ad una posizione più allungata.
Quale consiglio allora dare a chi può dedicare tempi limitati alla bicicletta ma non vuole rinunciare a quei piccoli vantaggi che una posizione più aerodinamica può offrire?
Innanzi tutto, dedicare periodi progressivamente crescenti dell’allenamento a tratti percorsi in posizione aerodinamica ricercando tutte le sensazioni positive e negative che devono essere poi guida per i necessari piccoli aggiustamenti della geometria del telaio.
A nostro avviso, una corretta regolazione del mezzo è quella che consente all’atleta di pedalare in posizione abbassata erogando il massimo della potenza possibile ma, nel contempo, permetta di pedalare in salita con sufficiente “rotondità” senza dover ricorrere frequentemente al “fuori sella”.
È evidente che una corretta scelta sarà frutto di numerose prove e compromessi soprattutto per quello che riguarda la posizione della sella nei suoi rapporti reciproci con il movimento centrale ed il manubrio.
L’altro importante aspetto sul quale è necessario lavorare e che viene trascurato dalla maggior parte dei ciclisti, riguarda il miglioramento della flessibilità ed elasticità dell’apparato muscolo-scheletrico.
La migliore posizione aerodinamica si può ottenere e, soprattutto, mantenere se attraverso esercizi di allungamento eseguiti abitualmente riusciamo a migliorare i gradi di flesso-estensione articolare soprattutto dei distretti più interessati.
Grande attenzione va, infatti, riposta alla muscolatura del bacino che deve essere in grado di ruotare anteriormente seguendo il busto (antiversione); una buona estensibilità della muscolatura flessoria della gamba (ischio-crurali), dell’ileo-psoas (per l’influenza che ha sulla colonna lombare) e dei dorsali, e l’elemento fondamentale per avere buoni risultati.
Infine, vediamo come è possibile valutare in modo empirico la bontà della propria posizione aerodinamica. E’ necessario premettere che il metodo di seguito illustrato è abbastanza impreciso perché bastano piccole variazioni delle condizioni di prova per ottenere risultati anche molto diversi e, soprattutto, non è in grado di discriminare piccole differenze aerodinamiche con precisione soddisfacente (altrimenti le costosissime gallerie del vento sarebbero già tutte chiuse!). È però un metodo semplice, economico, alla portata di tutti e molto istruttivo per familiarizzare con il problema dell’aerodinamica e per allenarsi ad associare le sensazioni dell’aria sul corpo con l’aerodinamicità della posizione in sella. Si chiama Coast Down Test e richiede un ciclista, una bicicletta, un tratto di strada il più possibile in piano (e magari senza traffico!) preceduto da una discesa che ci consenta di raggiungere i 40 Km/h senza pedalare, una giornata di aria assolutamente calma e senza vento. Per l’analisi dei risultati dei test abbiamo due modi di agire: risolvere complicate equazioni polinomiali o procedere per paragoni diretti. Visto che la prima strada è abbastanza complessa e ardua per il normale ciclista e richiede particolari strumenti di misura come accelerometri, fotocellule e una stazione meteo, utilizziamo senz’altro la seconda che consiste nel provare diverse posizioni e fare un confronto diretto tra i risultati ottenuti. I dati così raccolti non hanno quindi valore assoluto ma relativo, quindi valgono solo per confronto diretto tra diverse posizioni e per prove fatte sempre sullo stesso tratto di strada e nello stesso giorno, cioè con le stesse condizioni ambientali. Se vogliamo fare altre prove in giorni diversi, dobbiamo ogni volta ripetere tutta la procedura in modo da ricrearci sempre un dato di riferimento per quella particolare giornata. Come si svolgono allora i test? Innanzitutto si stabilisce qual è la propria posizione standard di riferimento con cui si faranno i paragoni successivi. Questa che sembra cosa da poco in realtà è uno dei principali problemi di questo tipo di test, infatti dobbiamo essere sicuri di assumere in sella una posizione che sia facilmente riproducibile in ogni momento poiché che la utilizzeremo come verifica periodica. Ci mettiamo quindi in cima alla discesa, nella nostra posizione standard e in un punto di partenza contrassegnato in qualche modo (un pezzo di nastro adesivo colorato, un cartellone, una maglia) e, senza pedalare e senza muoverci, lasciamo che la bicicletta acceleri. È molto importante non pedalare e cercare di minimizzare i movimenti del manubrio perché questi sono tutti elementi di disturbo che potrebbero variare in modo anche significativo la velocità di tutto il sistema. Lasciamo quindi correre la bicicletta lungo il tratto piano di strada e, a questo punto, abbiamo diverse possibilità: aspettiamo che la bicicletta si fermi, oppure prendiamo un punto di riferimento dopo qualche centinaia di metri (il solito nastro adesivo o cartellone) e lì leggiamo il valore della velocità arriviamo lì oppure cronometriamo quanto tempo ci vuole per raggiungerlo. Queste due ultime possibilità sono necessarie se il tratto di strada piano non è così lungo da consentire alla bicicletta di fermarsi da sola, ma possono introdurre ulteriori errori poiché aggiungiamo la misurazione di una grandezza (velocità o tempo) e quindi la possibilità di un ulteriore fattore di imprecisione. La seduta di test prosegue effettuando diverse discese nella posizione standard e verificando che ci fermiamo sempre nella stessa posizione. Se ciò non accade significa che c’è qualche problema come il vento, il fatto che ci muoviamo troppo e via dicendo, in ogni caso se non capiamo cosa succede è inutile continuare. Se invece la prova e sufficientemente ripetibile, cioè se partiamo e ci fermiamo sempre negli stessi punti con uno scarto di pochi metri, possiamo continuare. Partendo sempre dal nostro traguardo assumiamo allora una posizione differente da quella standard, all’inizio meglio se molto differente proprio per massimizzare i risultati e capire cosa accade. Proviamo quindi a scendere con il busto molto più alto e ripetiamo la procedura. Poiché ora dovremmo incontrare molta più resistenza aerodinamica all’avanzamento, cioè essere più frenati, dovremmo anche fermarci molto prima del nostro vecchio traguardo. Il principio finale è quindi quello che, assunta una posizione diversa rispetto a quella  nostra standard, se ci fermiamo prima del nostro vecchio traguardo avremo peggiorato le cose, se ci fermiamo dopo ovviamente avremo trovato un miglioramento. Come detto all’inizio, è necessario ripristinare ogni tanto la nostra posizione standard e vedere se il punto di arrivo coincide per verificare che non ci siano problemi o che siano cambiate le condizioni meteo (ad esempio c’è un po’ di vento). Se tutto funziona possiamo continuare con le nostre prove di posizione e di accessori vari come ruote lenticolari, si possono fare anche tentativi con la pressione di gonfiaggio delle gomme o con tutto ciò che ci interessa verificare.